“Ma le persone cambiano?”
By Risfor |
Rino Gattuso non è un celebre studioso di psicologia e neanche di management; però ha dato un titolo interessante al libro che parla di sé e della sua vita (di uomo e di calciatore del Milan e della Nazionale): “Se nasci quadrato non puoi morire tondo”….
Invece un celebre motto popolare riguardante il matrimonio, è sul cambiamento più articolato, fulminando l’ascoltatore con quattro mezze frasi: “Lei lo sposa convinta che lui cambierà; e lui, ovviamente, non cambia. Lui la sposa convinto che lei non cambierà; e lei, ovviamente, cambia.
Ma insomma, le persone cambiano o no? Possono cambiare?…
Anche in azienda se lo chiedono i manager, i formatori, le stesse persone interessate; e nella vita globale ce lo chiediamo spesso in tanti, in tante occasioni, riferendoci agli altri ed anche alla propria persona.
Per l’azienda è possibile cambiare: per esempio cambiando l’AD, il top management, la strategia, l’organizzazione, le tecnologie, l’immagine aziendale. Ma come fa la persona, come fa Carlo Rossi o Maria Bianchi, a cambiare? L’azienda cambia “sostituendo” al precedente qualcuno o qualcosaltro; ma io persona come faccio a sostituire me stesso, a cambiare?
La risposta che propongo, in sintesi telegrafica, è la seguente. Se per “cambiare della persona” si intende che qualcosa di nuovo annulla il vecchio e lo sostituisce, allora le persone quasi mai davvero cambiano. Se invece per cambiamento si intende che 1) prima la persona apre dentro di sé nuove possibilità (per il momento solo “possibilità”) che si aggiungono alle precedenti; e 2) successivamente (per preferenza propria o perché sollecitata dall’esterno) la persona si sposta da una propria possibilità (quella praticata precedentemente) ad un’altra propria possibilità, allora le persone cambiano eccome e spesso.
Ad essere sbagliato è proprio il modello di lettura tradizionale del cambiamento della persona, che non corrisponde quasi mai alla realtà delle persone adulte concrete. Non è infatti valido quel modello di lettura del cambiamento che dice che: 1) prima la persona va in crisi (“unfreezing”); poi 2) va in pezzi e li rimette insieme in una nuova forma (change: per esempio non più quadrato ma rotondo; oppure non più specialista ma gestore e manager), infine 3) si ricompatta nella nuova forma: e voilà, la persona è cambiata. Questo modello quasi sempre non corrisponde alla realtà per la semplice ragione che l’adulto (così come i sistemi sociali evoluti) non accetta veramente di “andare in pezzi” neanche per un attimo transitorio (anche se a volte la percezione di sofferenza è questa).
Facendo ricerca sistematica, e parlando a fondo (ci vuole metodologia, pazienza e interesse) con le persone reali dei cambiamenti verificatisi “nella” loro vita, anche quando prevalentemente imposti da fattori esterni, si scopre che quasi sempre la persona aveva molto tempo prima elaborato idee alternative dentro di sé: sul possibile cambiamento di lavoro; sul possibile cambiamento nel rapporto affettivo principale; sulla possibile strutturazione della sua vita; sul possibile cambiamento del suo modo di fare. La persona aveva cioè dentro di sé, già da tempo una “possibilità” ulteriore, diversa e aggiuntiva rispetto a quella che stava mettendo in azione.
Potremmo riassumere così alcuni principi, per sottolineare che “non si può cambiare” nel senso di sostituire qualcosa di altro a sé stessi, ma anche che “si può cambiare” nella interazione col proprio ambiente:
– si cambia quasi sempre per aggiunta, non per sostituzione
– la prima fase del processo di cambiamento avviene all’interno alla persona e non ha conseguenze visibili esterne: avviene cioè molto tempo prima, quando la persona apre dentro di sé una nuova possibilità: che per adesso è solo tale
– il cambiamento diventa visibile, quello di cui si vedono le conseguenze osservabili concrete, quando avviene nella persona lo spostarsi da una propria possibilità interna ad un’altra propria possibilità interna: di lavoro; di affetti; di strutturazione della propria vita di rapporti con gli altri; di gestione di sé nel rapporto con l’ambiente.
Proviamo a fornire qualche flash sulle conseguenze interessanti in particolare in sede FOR:
– formatori: non pensiamo e annunciamo di lavorare per aiutare le persone a “cambiare”; pensiamo ed esplicitiamo invece di lavorare per aiutare le persone ad aprire dentro di sé nuove aggiuntive possibilità. Così poi ogni persona potrà scegliere.
– management: non diciamo sempre che la via che si sta percorrendo è quella giusta ed anzi è l’unica (salvo poi fare un ribaltone di tanto in tanto). Abituiamo noi stessi e le persone che influenziamo a sapere che si hanno sempre più possibilità, che quella che si sta mettendo in atto è frutto di una scelta; e che ce ne sentiamo responsabili.
– genitori: aiutiamo i nostri figli a costruire più possibilità dentro di sé, ad essere consapevoli di scegliere, a sentirsi così protagonisti e responsabili della propria vita. Ad avere idealità (scelte) e non ideologie (assolute): nella vita quotidiana come sui grandi temi. Del resto è la “multipossibilità” il paradigma che sta alla base della democrazia così come della gestione generativa delle differenze.
– A tutti: cerchiamo di essere non schiavi, non ricattabili, ma liberi e potenti; a non essere distrutti nemmeno se licenziati, nemmeno se abbandonati, nemmeno se imprigionati; nemmeno se apparentemente incastrati in un mondo finto (il che vuol dire anche sentirsi finti nel mondo).
Articolo di Massimo Bruscaglioni pubblicato sulla rivista FOR sezione Pro-vocazioni
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